
Potenza, ore 19 – Antonio Califano
Sono riuscito a conquistare il diritto a portare fuori la spazzatura, mascherina e guanti di ordinanza, ho i bidoni proprio sotto il palazzo, per non sentirmi in colpa e approfittare della necessità decido di portare il mio sacchetto della indifferenziabile a fare un giro del quartiere, ho spiegato a me stesso che anche la “monnezza” ha diritto ad un po’ di libertà. L’ho presa larga, circumnavigazione del palazzo, emozionante discesa verso la piazza, manco fosse il Maelstrom di cui parla Poe, curva a destra saluto ad un amico che va di bolina cento metri più in là, curva a sinistra, poi di nuovo a destra e ritorno a casa. 20 minuti netti, distanza percorsa km 1,50, dice il mio contapassi da polso, mi sento Livigstone solo che “I suppose” me lo dico da solo. Però questa volta niente ansie. Rientro e Pina mi dice- “che ci fai con quel sacchetto?, sei proprio rincoglionito”. Non ha capito è tutta una strategia, riscendo e comincio da capo. Che si deve fare per campare!
Parma, 8:30 – Cristina Cogoi
Il nido che mi sono costruita, quel nido fatto di abitudini, di azioni ripetute, di tempo che scorre sempre uguale, mi accoglie, mi nutre, mi cura, mi protegge.
L’ho disinfettato accuratamente, l’ho abbellito e reso confortevole con musica candele aromi che saziano cuore e anima.
Non ho voglia di uscire, neanche per esigenze di prima necessità.
Percepisco sempre più il lavoro minuzioso che ha svolto la mente senza che io me ne accorgessi in tutto questo tempo di “ restiamo a casa”.
Ogni giorno, con pazienza, maestria, arguzia, ha tessuto fili sottilissimi imprigionandomi come in una ragnatela e ora bloccata tra queste mura VIVO
Non è paura almeno non conscia, credo sia piuttosto un distacco inconsapevole dalla realtà, quella realtà che non mi piace che fuggo che non mi manca che non vorrei più vivere come prima.
In questa ragnatela mi e’ permesso muovermi , non percepisco liquido paralizzante, ma solo pace solo quiete solo benessere.
Dovrei andare a fare la spesa, guardo la dispensa semi vuota, ma decido di non uscire.
Forse ci andrò domani o forse no.
Potenza, ore 9:00, Annamaria
E
ritornerà la vita di sempre
e noi sbocceremo come i ciliegi in
questi giorni
e saremo come i ciliegi in fiore
in questi
giorni: meravigliosi.
Ritornerà la vita di sempre
e noi saremo
pronti a far festa
e a tenerci stretti stretti di fronte alla
nostra meravigliosa Italia.
Potenza, ore 17:30 – Claudio Elliott
LA SCUOLA AL TEMPO DEL VIRUS
Ah, la scuola di una volta: dormivo intere ore nel banco dell’ultima fila – posto barattato ogni giorno in cambio di panini con frittata o merendine industriali o figurine di calciatori: il tutto era gestito da un compagno, Genny, finito poi (non si capisce perché) nelle patrie galere. Dormivo alle spalle della compagna compiacente in cambio del compito di italiano: lei mi faceva da copertura e io le facevo il tema in classe, con l’accortezza di cambiare lo stile di scrittura e mettendoci con arte qualche erroretto grammaticale. Così ho imparato due o tre cosine: le persone non danno niente per niente, ero già stimato come scrittore tanto da stilare compiti con stili differenti, dormire in classe con sottofondo di declinazioni greche e latine non ha prezzo.
E oggi, con il virus in circolazione, tutti sanno che si sta attuando nelle scuole la didattica a distanza, con tutte le complicazioni del caso. Nel caso appena accennato della mia alacre vita scolastica, la didattica mi avrebbe raggiunto a distanza anche nell’ultimo banco, e addio sogni di Gloria. La brunetta del terzo banco.
Ne parlavo ieri ai due agenti di non so quale corpo militare (sono bardati dai piedi al collo come i cavalieri di Guerre Stellari: emergono solo teste e bocche con bavaglio d’ordinanza), quelli che ormai hanno piantato le tende dalle parti di casa mia.
– Buongiorno – mi apostrofa Giovà o Gianfrà.
-Anche oggi senza cane? – chiede uno dei due. L’altro aggiunge: – Non si può uscire, se non per fare la spesa o portare a spasso il cane vicino a casa.
– Vado a fare la spesa. Senza busta.
– Deve comprare gli stuzzicadenti? – mi chiede uno con l’accento sulla a, facendo dell’ironia: chi mi legge da alcuni giorni ha capito il riferimento.
– No. Sto andando a comprare un bicchierino di vetro.
Mi guardano senza parlare: ho capito che pensano li stia prendendo in giro, ma li tranquillizzo subito: – Un piccolo bicchiere di vetro, sì.
– Per?
– Ci metto gli stuzzicadenti: non li sopporto tutti stretti come sardine nella loro scatola.
– Che tipo sensibile.
L’altro mi chiede:- Ma lei che lavoro faceva?
– L’insegnante.
– Ah, bene. Sa, mio nipote Sasà (accento sulla a) ha la bambina che frequenta il primo anno della primaria. Nei primi giorni di chiusura delle scuole la comunicazione con le famiglie avviene tramite la bacheca del registro elettronico. Mio nipote telefona a scuola e si fa dare le credenziali per accedere al registro elettronico: accede al registro e fa il cambio password. Fin qui tutto bene.
– Giovà, magari il signore ha da fare.
– Il suo bicchiere può aspettare – risponde Giovà.- La solerte maestra, con competenze digitali, vuole organizzare una videolezione con classroom.
– Che roba è?
– Lezione a distanza – spiego.
– Infatti. Organizza il tutto e poi invia un messaggio ai genitori sul gruppo di What’s App, dicendo che giovedì alle ore 16 ci sarà la video lezione, ma per collegarsi la password è provvisoria. Un po’ prima dell’ora della videoconferenza, mio nipote cerca di collegarsi, ma tutti tentativi falliscono, perché esce l’avviso di password errata. La moglie di mio nipote chiama immediatamente la mamma dell’amichetta della figlia per avere lumi. Si sente rispondere che lei non ha avuto problemi e che la password è provvisoria. Al che la moglie di mio nipote, sicura di quello che ha fatto, risponde che sì, era provvisoria, ma che lei l’aveva cambiata.
– Madonna, che casino.
– Aspetta. L’altra signora risponde: “Allora non so che dire”. A questo punto, una mamma non può arrendersi e ammettere, di fronte ad una bambina di sei anni di non essere all’altezza. Allora cerca nella rubrica il numero della zia, che è insegnante, e chiede aiuto. La zia risponde suggerisce di controllare nei messaggi di What’sApp se ha ricevuto comunicazione di qualche password. Passa una manciata di secondi. Nel telefono si sente un grido: “Messaggio trovato: la parola è provvisoria!”
– Cioè? – chiede Gianfrà che non ci sta capendo niente, al pari di me.
Giovà ridacchia: – Per partecipare alla lezione online bisognava digitare la parola “provvisoria”.
– E con tutte le parole del vocabolario non poteva sceglierne un’altra? – chiede Gianfrà.
– Torno a casa – dichiaro.
– E il bicchierino?
– Era un bisogno provvisorio.
Genzano di Lucania, ore 19 — Rocco Di Bono
In psicologia clinica, il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo i cui sintomi principali sono l’egocentrismo, il bisogno bulimico di percepire ammirazione e un sentimento esagerato della propria importanza. Chi ne soffre, non esita ad approfittare di persone e/o circostanze per raggiungere i propri scopi e occupare il centro della scena. Purtroppo, i giorni drammatici che stiamo attraversando hanno creato le condizioni ideali per la manifestazione di questo disturbo. Non si spiegano altrimenti, infatti, atteggiamenti e comportamenti di politici locali assetati di visibilità che, pur di stare sul proscenio, ne stanno combinando delle belle. C’è chi impone ai propri concittadini come e quando fare la spesa; chi apre e chiude varchi, come Mosè apriva e chiudeva le acque del Mar Rosso; chi usa i droni per sorvegliare e punire (ah, la buonanima di Foucault…) quei birichini che si azzardano a fare una passeggiata di troppo. Il tutto, ovviamente, calpestando non solo le regole del buon senso (e del senso del ridicolo), ma anche quelle del diritto. A quest’ultimo proposito, è appena il caso di ricordare il contenuto del titolo primo della Costituzione (artt. 13-28): solo la legge può limitare le nostre libertà costituzionali, e le leggi non le fanno i sindaci. Nemmeno quelli che indossano lo scudo e la spada.
Potenza, ore 19:54 – Luca Rando
La preoccupazione sta nella difficoltà che proverò, che proveranno i miei figli nel tornare alla normalità. Più passa il tempo e più mi sembra difficile una ripresa tranquilla, naturale, normale. Troppo tempo connessi, troppo tempo in videochiamate. Questo tempo che doveva essere “liberato” (dalla fretta, dal consumo, dedicato a noi stessi e alla nostra interiorità), si è trasformato invece in tempo “consumato” (dalla paura, dalla noia, dalla iperconnessione). Nulla è cambiato nelle nostre vite se perpetuiamo (nel chiuso della casa) quello che facevamo fuori, nel tempo libero delle nostre giornate, nel tempo libero dal lavoro ma legato a filo doppio al consumo e alla produzione.
Mi resta però ancora una canzone, per sognare un’altra libertà.
Matera, ore 18:30 – Doreen Hagemeister
“Cancelliamo?”
Il 30 marzo di 162 anni fa, nel 1858, Hyman Lipman di Filadelfia brevettò la matita, oggigiorno oggetto comune in tutte le case, dotata di una gommina per cancellare.
“La gomma da cancellare in cima alla matita riflette l’esitazione e l’imperfezione di tutte le cose” (Manfred Weidhorn)
Il 30 marzo 2019 nelle più importanti testate giornalistiche viene pubblicato un articolo che riferisce della scoperta di una fossa nel Nord Dakota in cui sono stati ritrovati fossili risalenti all’era dei dinosauri, la fine del Cretaceo. La ricerca, pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, riferisce di un asteroide di 12 chilometri di diametro avvenuto 65.760.000 anni fa. L’impatto diede il colpo di grazia ai dinosauri e al 75% delle specie viventi, scatenando uno tsunami che si è riversato per chilometri sulle coste dei continenti e potenti terremoti, di magnitudo 11-12, che hanno provocato ulteriori sismi in altre aree della Terra, oltre a piogge di rocce e sfere incandescenti che hanno a loro volta determinato lo sviluppo di diversi incendi.
Sono state rinvenute nel Nord Dakota prove fossili dell’asteroide che colpì il Messico: pesci con vetro caldo di detriti fiammeggianti nelle branchie, resti di dinosauri inframmezzati a tronchi d’albero, alberi carbonizzati e un’ambra fusa. Jan Smit dell’Università di Amsterdam, e i suoi colleghi hanno persino trovato orme di dinosauri poco prima della loro scomparsa, forse anche un piccolo Tyrannosaurus Rex, “la prova definitiva che i dinosauri erano vivi e vegeti al momento dell’impatto. Stavano correndo, inseguendosi l’un l’altro” quando furono sommersi.
75% delle forme di vita cancellate!
Oggi, 30 marzo 2020, circola nei mass media la notizia della prosecuzione della quarantena per il COVID-19 fino al 18 aprile, per poi procedere con un’apertura graduale delle attività.
Sinceramente, l’idea di uscire di nuovo, con ancora “in giro” il pericolo del contagio mi spaventa! Abbassare la guardia mi spaventa! Il ritorno alla normalità, quando non c’è nulla di normale in tutto questo, mi spaventa!
E come potrei dimenticarmi delle vite cancellate dal Coronavirus? Ad oggi sono ufficialmente 11591 le persone decedute in Italia.
Resta il fatto che io non voglio cancellare nulla di tutta quest’esperienza surreale che stiamo vivendo. Nella sua drammaticità mi ha arricchito, fatto riflettere e crescere.
“Io non voglio cancellare il mio passato, perché nel bene o nel male mi ha reso quello che sono oggi” (Oscar Wilde)
Genzano di Lucania, ore 21:50 — Gianrocco Guerriero
Oggi la felicità di aver finito quello che dovevo finire non è riuscita a salire a galla. Se n’è vergognata. Questi giorni di criticità che gettano un’ombra lunga sul futuro ammettono al più un sorriso e il tepore giocoso che può dare la complicità di un gruppo di amici. “Felicità” è una parola grossa, inopportuna.
Poi, nel tardo pomeriggio, quando sono andato in cerca delle ultime notizie, ho letto dell’Ungheria e dei “pieni poteri” conferiti a Orban, e il sangue mi si è trasmutato in piombo. Da più parti, anche qui da noi, finanche da voci insospettabili, si leva nell’aria un urlo esplicito (e quando è implicito e velato è ancora peggio) assai pericoloso: “Vogliamo l’uomo forte!” (Che poi, forte… Sono sempre i più doppi, i più vili, i più insicuri, a proporsi al ruolo).
Percorriamo davvero brutti tempi.
La canzone che passa nelle mie cuffie mentre scrivo dice che “l’amore bagna gli occhi e l’amore scalda il cuore,…” eh sì, il cuore! Quello che ho sentito battere di gioia stamattina e incupirsi stasera. Chissà se qualcuno si chiede, qualche volta, come fa a pulsare un cuore. È un miracolo di democrazia, il suo funzionamento: tante cellule (miociti) cominciamo a vibrare come microscopici pendoli fino ad entrare in risonanza: un oscillare sincronizzato che, per magia sfocia nella prima coppia sistole-diastole e quindi nella psyiché (come anima, respiro) e quindi nella vita. Non ha bisogno di una “cellula forte” il cuore, allo stesso modo in cui uno stormo non necessita di un leader con le ali. La “risonanza” la si trova ovunque, in natura: dagli atomi alle galassie, dalla sincronia dei nostri applausi alla danza Terra-Luna.
Ecco, dopo questa esperienza, forse dovremmo provare a funzionare come un cuore.
Matera, ore 22:59 . Angelo Soro
Ogni giorno alle 18 son lì, attento, concentrato, ansioso, davanti al televisore per seguire la comunicazione istituzionale della Protezione Civile.
Numeri aridi che parlano di persone sofferenti attraverso una specie di contabilità in partita doppia della tragedia: da una parte i morti, dall’altra i guariti. Ma i numeri continuano a non tornano.
È durante una di queste dirette che è emerso dall’oblio un racconto di mia madre, una storia di un piccolo centro in provincia di Nùoro ai tempi della guerra.
Da quando era iniziato il conflitto chi poteva si riuniva davanti alla finestra della casa del farmacista per ascoltare il “bollettino di guerra”. Essere lì voleva dire che si era ancora vivi, risparmiati dalla guerra o dalla TBC o dalle febbri scatenate dai pidocchi.
Ogni giorno una piccola folla, per la maggior parte donne, si ritrovava lì: qualcuna con la cesta del bucato, altre con la brocca dell’acqua; i pochi uomini rimasti in paese arrivavano stanchi dai campi con la bisaccia e la zappa sulla spalla, mentre altri si fermavano e attendevano con capre e pecore poco distanti.
Quella del farmacista era una delle due radio presenti in paese. L’altra era del cavalier Conteddu, il proprietario del mulino e della centrale elettrica, ma lui non apriva mai le finestre, non era quel genere di persona. Non avrebbe ma fatto ascoltare la sua radio gratis, non era proprio nelle sue corde.
Quando
riconoscevano il passo del farmacista che rincasava, il sommesso
ronzio del chiacchiericcio si sopiva e tutti si disponevano ordinati
sotto alla finestra.
Poi zitti, con il fiato sospeso e il naso
all’insù: si aprivano le imposte e la voce stentorea, che arrivava
con un po’ d’eco, elencava i successi delle nostre gloriose
truppe, le perdite dei nemici e le città conquistate.
Mi
raccontava mia madre, che all’epoca era signorina, che tra loro
c’era sempre Tonino, un ragazzo con qualche lieve problema
psichico, figlio di una povera vedova di guerra soprannominata
“Peppedda monitura”
(Giuseppina l’accattona); Tonino, che viveva assieme a sua madre in
una povera casa nella periferia del paese, manteneva entrambi con
quel poco che guadagnava portando al pascolo le capre per conto di
altri o facendo piccole commissioni alle persone più anziane.
Ascoltava con gli occhi strabuzzati le notizie del bollettino, poi,
evitando d’incrociar lo sguardo con gli altri, tentava di andare
via.
– Ello Toni’, a casa sese
andande? (Ehi Toni’, stai andando
a casa?) – lo provocavano alcuni ragazzini.
– …
– Tonì’,
ite ana natu a sa radio? (Toni’,
cosa hanno detto alla radio?)
A quella domanda non riusciva a
resistere e, andando contro le raccomandazioni di sua madre che, per
evitare che lo prendessero in giro, lo aveva catechizzato affinché
non parlasse con nessuno, iniziava a farfugliare una lunga,
tormentata risposta:
– eh, ana
natu chi bi sono bumbordamentos, affundamentos, mortos in tottue.
(eh, hanno detto che ci son stati bombardamenti, affondamenti e morti
dappertutto)
Tanto era il balbettìo, che quella frase durava
circa due o tre minuti, durante i quali i ragazzini arrivavano a
lacrimare per le risate, mentre Tonino sudava e diventava rosso come
se stesse rincorrendo le capre in montagna.
Spesso mia madre interveniva per cacciare quelle piccole pesti e, per proteggerlo da ulteriori eventuali attacchi di quei cuccioli di iena, lo scortava fino a casa. Dopo aver salutato comare Peppedda tornava a casa con il cuore cupo e oppresso dall’aria grigia che ammantava l’Italia in guerra.
Potenza, ore 24,00 – Pino Paciello
Te lo ricordi John Belushi in Blues Brothers che urlava al pastore, che poi altri non era che James Brown, di aver visto la luce? Bene, con minore enfasi, dico sommessamente che in fondo al tunnel una barlume luminoso comincia a vedersi.
Caro diario, è una bella giornata, i dati comunicati dalla task force alle 18:00 di oggi dicono che i casi sono dimezzati. Restano altre criticità relative alla distribuzione territoriale del contagio e, ahimè, al numero dei morti che è ancora elevato ma come non sorridere guardando quella curva che scende.
Nel frattempo al sud, nella mia regione, dove logicamente il picco è più in là da venire, si sente un rumore di battaglia che non fa ben sperare.
Comincia a venire meno la fiducia nelle istituzioni e qualcuno vede la provvidenza nell’avvento dell’uomo forte. Alcuni in buona fede, altri per motivi che solo loro sano (cioè che non mi va di dire qui).
Non mi piace. Molti chilometri a est, seppur nella civile Europa, qualcuno ha chiesto e ottenuto i pieni poteri. Per nostra fortuna chi li chiedeva in Italia è rimasto vittima di un mojito in più. Rimango convinto che nessuno debba fare speculazione politica in questo momento e che è necessario, pur nella dialettica fra le parti, che ognuno di noi debba aver rispetto del proprio presidente del consiglio, del proprio governatore e del proprio sindaco.
Del resto, that’s the democracy, baby, e tu non ci puoi fare niente.
Villa d’Agri, ore 23:30 – Antonella Marinelli
Ventunesimo giorno rosso. Ieri sera ascoltavo Erri De Luca spiegare che più forte del rischio della morte c’è la disperazione. La pandemia ha inevitabilmente monopolizzato l’informazione mondiale, ma non ha cancellato i drammi che nel nostro immaginario sono stati ibernati in quei giorni di febbraio in cui la disperazione dell’altro diventava la nostra disperazione. In questo dramma collettivo gli altri, i naufraghi, i reietti in balia delle onde del destino siamo diventati noi.
Un pensiero ai fratelli dell’erranza nelle prigioni libiche, a Lesbo e a Idlib, dove è morta l’umanità.
Faenza
(RA) – ore 21:09 – Domenico Marchione
Sarà un giorno
migliore domani? Avremo imparato la lezione? Continueremo ad avere
percorsi diversi o ci accomuneranno le stesse scelte per per una più
efficacia capacità di interventi.
I dipinti di Edward Hopper
ricordano questo momento.
Scorrono ora sullo schermo le immagini
di una terapia intensiva. Infermieri in continuo movimento. Mi
sovviene in mente Sofocle: “l’opera umana più bella è di essere
utile al prossimo“.
Commuovono le parole del primo ministro
albanese Edi Rama: “Non siamo ricchi, ma neanche privi di memoria”.
Questo ci insegna che la strada maestra da seguire è la
solidarietà.
A dare l’esempio è il Portogallo. Oggi ci
insegnano come costruire una nuova Europa, come abbattere gli egoismi
sovranisti. Si regolarizzeranno le posizioni di tutti gli immigrati
in attesa di permesso di soggiorno assicurandogli un accesso
libero alla sanità.
Potenza,ore 9:30, Annamaria
Da questi giorni dobbiamo ricominciare.
Non dobbiamo scoraggiarci nè buttarci giù, ma dobbiamo crederci: ce la faremo.
In questi giorni dobbiamo chiederci il senso di tutto, dobbiamo chiederci dove stavamo andando e utilizzo un tempo passato perché, quando tutto questo sarà finito, ricominceremo e potremo farlo da capo. Potremo mettere un punto e reiniziare. Ricominciare. Punto e a capo.
Quando tutto questo sarà finito potremo reiniziare, fare tutte quelle cose che non abbiamo mai fatto – per paura – fare tutte quelle cose che abbiamo sempre rimandato – per timore. In questi giorni, lasciamo che la paura lasci spazio al coraggio, ma anche alla riflessione per chiederci il senso di ogni cosa, per capire che, in questi anni, con gli anni, non facciamo altro che diventare sempre più superficiali. E non va bene perché non va bene dare per scontato tutte quelle cose che, seppur scontate, magari, non lo sono affatto e anzi sono tutt’altro, perché sono preziose.
Diamo un senso a questi giorni e troviamo questo senso nel chiederci e nell’imparare a ringraziare e apprezzare tutte le piccole cose che abbiamo. Impariamo a lasciare un po’ altrove i nostri cellulari e reimpariamo a riguardarci negli occhi, reimpariamo a fare cose insieme in famiglia, a domandarci l’un l’altro come stiamo, a sostenerci, a incoraggiarci, a insegnare a chi non ci crede che andrà tutto bene e a dare coraggio a chi ha paura. Impariamo ad abbracciare più forte la nostra famiglia. In questi giorni, impariamo a ritrovare tutte quelle cose e tutti quei valori che negli ultimi tempi si erano un po’ persi.
A casa mia, tutte queste cose ci sono sempre state: noi siamo stati sempre abituati ai telefonini lontani da tavola, a guardarci negli occhi e a raccontarci la nostra giornata la sera,a fare tutto insieme e a me hanno sempre insegnato che se io ho un problema, lo hanno anche loro e se loro hanno un problema è anche il mio. A casa mia tutte queste cose ci sono sempre state eppure ora ci sono ancora di più. E non sapete quanto è bello. È bello perché è famiglia. Lo sentite il profumo di famiglia in questi giorni? Io si! Io lo sento più forte e spero di tenermelo stretto, anche quando tutto questo sarà finito.
In questi giorni, in cui siamo stati costretti a cambiare le nostre abitudini, in cui tutti siamo stati costretti a rinunciare a qualcosa, piccola o grande che sia, restiamo pure nelle nostre case – dicono sia tutto quello che possiamo fare per salvarci, per salvare la nostra Italia e allora facciamolo – e stacchiamo un po’ la mente e pensiamo un momento a dove stiamo andando.
Chiediamoci “È questo quello che voglio per me? È questa la strada che voglio percorrere? È con queste persone che voglio stare?”
Chiediamoci se le persone che abbiamo intorno, sono le persone che vogliamo davvero e troviamo il coraggio per dire tutti quei ti voglio bene che non abbiamo mai detto e di fare tutte quelle cose che abbiamo sempre rimandato.
Chiediamocelo e rispondiamoci. E non temiamo di ascoltare le nostre risposte e, domani, quando tutto questo sarà finito, ringraziamo chi di dovere, chi sta rendendo l’impossibile possibile, stringiamo forte la nostra Italia e ricominciamo. Ricominciamo dalla paura che abbiamo avuto e dal coraggio che abbiamo trovato. Ricominciamo da noi stessi, dalle risposte che ci siamo dati.
Chiediamoci: “Sono dove voglio essere? Sto andando dove voglio andare?” E se la risposta è no, quando tutto questo sarà finito, una volta trovato il coraggio, cambiamo le cose. Diamo un senso a tutto questo. Il tempo non è infinito. Abbiamo tanto tempo, ma per fare cose e non per rimandarle.
Da questi giorni dobbiamo ricominciare e imparare tutto quello che per troppo tempo abbiamo dato per scontato. Quando tutto questo sarà finito, avremo imparato ad apprezzare le piccole cose: gli abbracci, un caffè caldo con gli amici, casa e tutte le piccole cose, le più importanti.
Potenza, ore: 3:39 – Katia Genovese
Stasera il sonno fa fatica ad arrivare, mi sono attardata nelle intime chiacchierate con mia sorella, quelle piene d’amore, piene di confidenze, allo stesso tempo colme anche di dubbi e perplessità.
Poi però quando guardo bene i suoi occhi grandi e vispi, che caratterizzano il volto sin da bambina, ci trovo tutto quello di cui ho bisogno, è letteralmente il mio rifugio.
E non fa niente se è così tardi, probabilmente l’indomani avrò un cerchio alla testa, che sarà compagno fedele per l’intera giornata. Penserò dunque:” ne è valsa la pena!”.
Questo cambio d’orario poi complice perfetto per qualche piccolo senso di colpa, la quarantena ha ridimensionato completamente i miei ritmi ferrei.
Però proprio potevano mancare i miei pensieri a seguito di due giornate piuttosto intense.
In questo tempo mi son sentita attraversata da diverse sensazioni, penso grazie ad esse di aver fatto un viaggio temporale che mi ha permesso di sentire ogni stagione sulla pelle.
Ho avvertito la rinascita simbolo della primavera, nelle parole e nella caratterizzante dignità di Papa Francesco, da tanto non vedevo il colonnato di San Pietro nella sua totalità, perché sempre gremito di persone che si affollavano da ogni parte del mondo, eppure nelle immagini recenti risultava deserto, nonostante ciò era impossibile non percepirne l’umanità incredibilmente vicina,
(“Nessuno si salva da solo”)
… tutto questo ha restituito la speranza.
L’estate si fa fatica a riprodurla, perché solitamente si associano ad essa momenti intrinseci di felicità e spensieratezza, eppure sono tornata indietro nei ricordi fino a quando ero bambina, arrivando alle interminabili giornate estive quando la scuola era ormai chiusa ed io cercavo ogni diversivo per impiegare il mio tempo nel migliore dei modi. Beh per alcuni versi è un po’ estate anche ora, si è un po’ più costretti, ma continuamente affannati nella ricerca frenetica di qualcosa da fare, per sentirsi in ogni modo attivi.
Mi son sentita autunno dopo aver visto i numeri alti come da consuetudine, immagini in tv molto simili a quelle dei giorni precedenti si accavallano come le foglie che caratterizzano la stagione.
È impossibile, poi, non far caso all’inverno che sembra di colpo essersi abbattuto sulla nostra regione, in particolare, ci siamo tutti stretti al dolore che ha tenuto alti i pensieri e la speranza del ritrovamento, in una notte di ricerche. Che si è conclusa in un grande dolore comune.
Tolve, ore 20:30 Rocco Mentissi
Appena sveglio, il bisogno più impellente è la luce. Mi alzo, mi porto verso il balcone, apro e respiro fino in fondo. Guardo il cielo, cerco di leggere le poche nuvole rade, alla ricerca di un segno, una traccia, che mondi possa aprirti. Il Mistero si è fatto fitto, selvoso, l’ancestrale insecuritas ha sbaragliato le convezioni, fatte passare per verità assolute, le abitudini, tramandate come leggi, eternamente fisse. Ci scopriamo, senza poter mentire, figli del Tempo e noi stessi tempo.E ora smarriti più che mai, paradossalmente, siamo più che mai allineati con noi stessi. La Natura si è concessa un salto. I contrari non si oppongono né si contraddicono, ma sono il viaggio che continua, le linee medesime che si riavvolgono. Il futuro non si fa leggere ma ci legge, non è avanti, ma piuttosto alle nostre spalle. Una vera rivoluzione, infatti, è un tornare, un pericoloso e affascinante viaggio di ritorno, verso casa: là c’è Telemaco senza la dittatura del domani e Penelope, che non siede più al telaio, ma ti parla e guarda con l’infinito azzurro dei suoi occhi.
E ci sei tu che, più giovane per gli anni, stendi paure e speranze su carte con la penna, la quale, bussola severa, segna rotte, subito inter-rotte, in questa tormenta, amara e tenera, incerta, indecifrabile.
Potenza, ore 15:00 – Giampiero D’Ecclesiis
Stamattina sono andato in ufficio, nonostante lo smartworking ci sono cose che proprio non si possono fare da casa e così ho fatto un tuffo nella anormale “normalità” di questi giorni.
Le strade vuote, i bar chiusi, e sopratutto il mio ufficio vuoto.
Percorro i lunghi corridoi del palazzone stile ministeriale in cui ha sede il mio ufficio e da un momento all’altro mi aspetto che sbuchino le gemelline di Shining a chiedermi se ho voglia di giocare con loro.
Il silenzio inizialmente aiuta a concentrarsi e infatti in poche ore sistemo la gran parte delle pratiche che mi aspettavano, quando ho estratto l’ultimo foglio dalla mia stampante e apposto l’ultima firma mi concedo il meritatissimo premio di un contatto umano.
Faccio (a piedi) i cinque piani che mi separano dal mio premio e raggiungo il mio dirigente per il primo contatto umano dall’inizio della giornata.
I saluti sono cordiali anche se da lontano, sbrigate le pratiche che ci attendevano chiacchieriamo un pò, quel tanto che basta per sentirci umani, ci rinfranca entrambi.
Alla fine lui mi chiede se ho sistemato tutto e alla mia risposta positiva non riesce a reprimere un moto di delusione.
-Quindi domani sei in smart working
I tempi in cui davanti alla stanza del capo c’era la fila sembrano lontanissimi, lo saluto da lontano e lo lascio dietro la sua scrivania nel silenzio.
Parte il primo esperimento di video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, per voi le prime tre puntate, da ascoltare e vedere con calma, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci. Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Da stasera per voi, su TOTEM Magazine. SEGUITECI , IL MARESCIALLO VI SVELERÀ OGNI SEGRETO