A cosa servono i poeti

Qualche giorno fa mi sono avvicinato ad Alexandra per abbracciarla mentre si esercitava a risolvere, nel minor tempo possibile, il suo cubo di Rubik. Non voleva essere distratta e mi ha respinto. Io, per darmi un tono, le ho detto che l’essenza di quel gioco sta nella “Teoria dei gruppi”, grazie ai risultati della quale si dimostra che le equazioni algebriche dal quinto grado in poi non ammettono, in generale, soluzioni per radicali (infatti la teoria fu scoperta da Évariste Galois due secoli or sono proprio nel tentativo di cercare una soluzione per quelle equazioni) e che, in matematica e in fisica teorica essa rende agevoli i calcoli in tutte le situazioni in cui si ha a che fare con delle simmetrie. Incuriosita, e un po’ intontita dalla mia scarica di informazioni, Ale ha deciso di interrompere la prova al cronometro e mi ha chiesto se conoscessi questa cosa chiamata “Teoria dei gruppi”. Le ho detto di sì, e lei mi ha sfidato ad applicarla alla risoluzione del cubo. Ho dovuto confessarle che non ne ero capace, e l’ho sorpresa con un sorriso di soddisfazione sulle labbra (che diceva tutto). Mi sono vendicato facendole notare che gli algoritmi che ha imparato su youtube, grazie ai quali è riuscita a stabilire un record personale di 31 secondi, non sono altro che gruppi di trasformazioni (permutazioni, per la precisione). Lei ha tempestivamente dirottato il colpo sulla parola “gruppo”, e l’ha ripetuta un paio di volte con un’espressione del volto che mi è sembrata indicare delusione. La conferma mi è arrivata dal modo in cui ha replicato dopo qualche istante: «Quanta poca fantasia hanno i matematici e gli scienziati! Dovrebbero assumere dei poeti per farsi aiutare a trovare le parole nuove per le cose che scoprono!». Sono rimasto folgorato e le ho dato un bacio. Finalmente ho capito qual è il vero ruolo di un poeta (trovare le parole per ottimizzare la correlazione fra il pensiero e il mondo), e ho compreso anche dove va cercato il punto di incontro fra discipline scientifiche e umanistiche (nell’uso comune del linguaggio, appunto). Le soluzioni semplici sono sempre le più difficili da scovare.

Riguardo alla terminologia tecnica e scientifica, in effetti la trovo tante volte pleonastica, fuorviante, banale, stravagante o semplicemente brutta. Non ci si fa caso per la semplice ragione che perlopiù è in lingua inglese, e le parole straniere hanno un fascino esotico a prescindere. Di esempi non ne faccio perché mi servirebbe troppo spazio. Comunque devo dire che il termine “gruppo” io lo trovo bello e pertinente, anche se ad Ale evoca alla mente niente più della combriccola di amici con la quale si intrattiene prima che suoni la campanella che annuncia l’ingresso a scuola. Anche il termine neutrino (introdotto da Fermi e utilizzato in lingua italiana in tutto il mondo), per denotare  una partricella effimera che svolazza per tutto l’Universo, è evocativo e pertinente.

Per il resto, la consulenza dei poeti potrebbe essere la soluzione. Non solo per aiutare a cercare nuovi nomi per cose nuove. Ad esempio, anche per prevenire il degrado morale che può essere provocato da una espressione sbagliata. In un certo senso, vivere è come risolvere un cubo di Rubik. E per non sprecare l’opportunità, ogni mossa, anche linguistica, non deve essere lasciata al caso.

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