C’era una volta un porcellino di creta, c’era in quasi ogni casa, con una fessura sul dorso e un ampio ventre capiente. Lo si regalava ai bambini per insegnare il valore del risparmio, ci si infilavano dentro le monetine che il nonno, o magari la mamma regalavano per un’occasione o per premiare un buon risultato scolastico.
Quando era pieno si rompeva e con il contenuto si comprava qualcosa di particolare al bambino, oppure si faceva un versamento sul libretto postale “per quando sarai più grande!”.
Nostalgia da sessantenne? Può essere. Ma aspettate a giudicare.
Oggi i porcellini ci sono ancora, si usano meno e ci scommetterei che ad usarli sono molto di più i “boomer” che i ragazzi delle nuove generazioni, si sono evoluti, a fianco a quelli di creta ne sono arrivati altri più economici, più al passo con i tempi moderni, fatti di latta come le scatole dei pomodori.
Qualche anno fa, per finanziare un’iniziativa che ebbe grande successo, ci inventammo i “salvadaparco”, rivestimmo con un’immagine utile a richiamare la nostra iniziativa alcuni di questi salvadanai di latta e li distribuimmo in giro per bar e tabaccai della città per aprire una raccolta fondi.
Era “Lettere dal Parco”, l’iniziativa ebbe un bel successo e al suo termine mi rimase uno di questi “salvadaparco”, molti bei ricordi, qualche disillusione e ahimè anche qualche delusione.
Gli spiccioli di resto, le mie monete non spese finiscono tutte lì a costituire una piccola riserva, un piccolo regalo che quando il contenitore è pieno, il più delle volte, faccio ai miei figli.
Ed ecco che inizia la nostra triste storia.
Mi accorgo che il mio salvadanaio è ormai pieno e mi decido a svuotarlo e a mandare il suo contenuto a mia figlia Giulia che, come tanti giovani lucani, è una studentessa fuorisede.
Conto le monete, le suddivido per valore, le confeziono in tanti piccoli rotolini ciascuno del valore da 20 euro, scarto tutte le monetine di valore inferiore ai 50 centesimi, alla fine quello che ho raccolto è un gruzzolo niente male.
Controllo di avere i dati della Poste Pay di mia figlia e parto sereno in direzione della filiale delle Poste Italiane, con pazienza attendo il mio turno e quando vado allo sportello, una impiegata un po’ attempata nota subito la busta nella quale ho sistemato ordinatamente i miei rotolini e mi guarda con uno sguardo che emana un misto di autentica sorpresa e di fastidio.
Spiego la mia necessità ossia: -vorrei caricare la Poste Pay di mia figlia con il denaro contante, in moneta che ho con me e che ho contato e impacchettato in rotolini di uguale valore e conio-.
La signora, sempre con lo sguardo sorpreso/infastidito mi dice che Lei non può accettare un tale pagamento con le monete e, quando io le faccio presente che trattasi di valuta nazionale corrente, mi spiega, ma il tono della voce ha già cominciato ad assumere un’aria gracchiante, che per disposizione aziendale allo sportello più di 20 pezzi non si possono accettare.
Resto un attimo incerto, combattuto dall’idea di tirarmi la questione con la prospettiva di dovermi mettere a litigare con la impiegata che ha già assunto l’aria di chi è pronta alla discussione, oppure di lasciar perdere e cercare una soluzione differente.
Alla fine, mi dico che ci sono due sole possibilità, ho beccato una bisbetica che non ha voglia di mettersi a contare le monete oppure la semplice esecutrice di una “disposizione aziendale”, decido che non mi va di litigare con la cassiera attirandomi anche le maledizioni di chi è in fila dopo di me e aspetta il suo turno, saluto e vado via.
Per capire se si trattava di bisbetica o esecutrice mi reco presso un altro sportello delle Poste Italiane, quello presso la Stazione Ferroviaria, lì un’altra impiegata, più giovane (e anche molto più cortese), con un sorriso mi spiega anche lei che per disposizioni aziendali non è possibile accettare in pagamento più di venti pezzi e mi suggerisce di risolvere il problema andando alla Banca d’Italia.
Non più di venti pezzi, al massimo quindi 40 euro.
Mi domando: fossi andato alle Poste Italiane con 22 pezzi di 100 euro da versare il problema sarebbe stato lo stesso?
Poco male, inforco il mio scooter e salgo al centro per recarmi in Banca d’Italia.
Il carabiniere all’ingresso è gentile e simpatico, io sono chiacchierone, scherziamo sulle mie disavventure e mi indica lo sportello, salgo le scale e apro la porta in vetro che conduce all’interno.
Mi accoglie una hostess bruna, vestita con un completo giacca pantalone scuro, cortesissima come se fossi un grande banchiere in visita, mi accompagna al tavolo, mi indica tutte le operazioni da fare prima di andare alla cassa.
Alla cassa cassiere rapido, efficiente, cortesissimo e superprofessionale.
Praticamente un’altra Italia rispetto a quella che ho incontrato alle Poste.
Incasso il mio denaro e all’uscita mi sto avviando verso le Poste per andare ad effettuare la ricarica alla Poste Pay di mia figlia, nell’atrio delle Poste al centro storico c’è gente, chiedo al volo ad un giovane impiegato:
-Scusi ma la ricarica di una Poste Pay devo farla per forza qui alle Poste?
Mi guarda con lo stesso sguardo divertito con cui mi guarda mio figlio Adriano, credo che più o meno abbia la sua stessa età, quando dico una cosa da boomer e mi dice che no, posso pagare anche in tabaccheria solo con un piccolo costo aggiuntivo di 2 euro. Lo ringrazio e mi dico “Fanculo alle Poste Italiane”, in tabaccheria esplico velocemente, esco alleggerito ma contento.
Passeggio per via Pretoria e penso, alle differenze che ho sperimentato stamattina.
La sciatta logica del profitto, dove ogni operazione che comporta un surplus di impegno a favore del cliente va vietata con disposizione aziendale, dove la discriminazione tra piccolo e grande è evidente, spregevolmente manifestata senza imbarazzo.
State certi che se mi fossi presentato alle Poste Italiane con 30 pezzi da 50 Euro da versare sulla Poste Pay di mia figlia non ci sarebbe stata alcuna disposizione aziendale contraria perché la logica che è sottesa a questa modalità di gestione è la solita, rapace, attitudine a far pagare tutto ai clienti e a trattare le persone in ragione del loro valore economico e non umano.
La Banca d’Italia è austera, quasi severa, ma mi ha accolto con sollecitudine e cortesia perché avevo ed ho l’unico requisito fondamentale, sono un cittadino italiano e sono una persona.
So che rimarrà inevasa la domanda ma, mettiamo il caso che al posto del signor Giampiero che aveva, dopotutto, una necessità cui avrebbe potuto far fronte in molti modi differenti, ci fosse stato il Signor Luigi, che casomai con quei soldini raccolti faticosamente si recava a pagare una scadenza, la Signora Poste Italiane avrebbe rifiutato il pagamento?
E ancora, è possibile rifiutare un pagamento con la moneta a corso legale?
Quante diavolo mai di operazioni del genere potranno mai capitare ogni giorno a Poste Italiane per aver dovuto emanare una disposizione per la quale il massimo importo che si può pagare in moneta è pari a 40 euro?
Alla Signora Poste Italiane che ingrassa tanto con la gestione delle pensioni, è passato mai per la testa che magari proprio quella fascia di utenza è quella che ancora pensa di fare qualche piccolo risparmio con il “salvadanio”?
So già che rimarrò senza risposte, resta la nostalgia di un’Italia differente, oramai irrimediabilmente antica, stritolata dalla logica del consumo, dalla mancanza di empatia vera, ipocritamente dedita al politically correct nelle parole e mai nei fatti.
Un’Italia seria, come la Banca d’Italia.