Pizza e Rivoluzione

E’ un dato di fatto che la ricchezza, specie quella nuova, porta chi riesce a procurarsela a convincersi di essere realmente migliore; intrallazzi, comportamenti al limite della legalità o della correttezza, leccate di culo da primato, botte di culo (la vita è fatta anche di quelle), il nuovo ricco le dimentica, ostenta la sua opulenza e la attribuisce alle sue qualità che certamente ci sono ma che senza l’elenco articolato, ma non esaustivo, che ho fatto prima, magari avrebbero sortito un risultato meno brillante.

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Mi dichiaro subito: A me certe tipologie di ricchi mi stanno sul cazzo.

Non è invidia, fanculo a chi lo pensa e cerca di liquidarmi sbrigativamente così.

E’ un dato di fatto che la ricchezza, specie quella nuova, porta chi riesce a procurarsela a convincersi di essere realmente migliore; intrallazzi, comportamenti al limite della legalità o della correttezza, leccate di culo da primato, botte di culo (la vita è fatta anche di quelle), il nuovo ricco le dimentica, ostenta la sua opulenza e la attribuisce alle sue qualità che certamente ci sono –uno scemo diventa ricco solo comprando un buon biglietto della lotteria e il più delle volte non ci rimane a lungo– ma che senza l’elenco articolato, ma non esaustivo, che ho fatto prima, magari avrebbero sortito un risultato meno brillante.

Il ricco di oggi è tracotante, lo stile “Berlusconi” già distante anni luce da quello dei ricchi “storici” italiani, che so Pirelli, Agnelli e così via, è rapidamente degradato nello stile Santanchè o, peggio ancora, Briatore.

Gente che ha, rispetto alla maggioranza degli italiani, in conseguenza di questo folle sistema capitalistico in cui siamo immersi, uno stile di vita da satrapo orientale e che, a differenza di quanto facevano i loro predecessori, ostentano tutta la loro opulenza, arrivando ad interrogarsi come mai un proletario napoletano mangi una pizza a 5 euro e arrivando alla conclusione che non capisce un cazzo e che solo sua maestà il signor denaro ha titolo per parlare di pizza.

E’ solo l’anticamera del ragionamento prima di rendere pubblico ciò che tra loro questa specie di ricchi da rapina già si dicono, ossia che non dovrebbe essere consentito di fare pizza a 4 euro perché rovina la pizza che “…prima di essere un piatto è un elemento distintivo della nostra cultura e non si può lasciare in mano a un po’ di lazzaroni napoletani!” : a 4 euro non si può produrre una pizza buona! (Ipse dixit!).

Ancora una volta cercando di rapinare e sfruttare un concetto elaborato da altri per altri fini diversi dalla ricchezza di uno solo.

Ma a Napoli la pizza da quattro, cinque euro si è sempre fatta, anzi la pizza è esattamente quella, altro che le cazzate del cuoco alla moda, o dello speculatore danaroso che prova a gabbare i poveri fessi con un nome e un’etichetta, per il quale fare la pizza o fare la merda fritta è la stessa cosa, purché ci sia il consumatore che mangia e paga.

I grandi ricchi mi stanno sul cazzo. Mi stanno sul cazzo tutti, intendiamoci, ma questa tipologia di nuovi ricchi molto di più.

Mi stanno sul cazzo perché non c’è grande ricchezza senza rapina e sia chiaro non sto parlando di benessere ma di ricchezza vera, di quella sfrenata che permette a qualcuno di pensare di vivere (senza provare un briciolo di imbarazzo) come un imperatore della Cina quando contemporaneamente al mondo c’è gente che non ha da mangiare.

Il grandissimo Alberto Sordi in un suo film faceva dire al suo personaggio “…per procurarvi tutto quello che vi piace a qualcuno bisogna pur depredare! Le guerre si fanno per questo!” ricavandone il silenzio imbarazzato, complice, vigliacco, laido dei suoi familiari disposti a tutto pur di non rinunciare al proprio benessere.

Che bella quella alta borghesia di una volta che per lo meno aveva il pudore del proprio agio!

Il nostro è un paese a due velocità in senso verticale e orizzontale, un nord europeo e un sud africano e, in tutta la penisola, chi può garantirsi di tutto e di più e chi non ha diritto a nulla!

La costituzione? Carta straccia! Diritto alla salute? Ma vaffanculo! Per ottenere le prestazioni mediche, se non si paga, si muore nel frattempo. Sempre più gente non si cura semplicemente perché non può permetterselo mentre un vecchio rifatto danaroso pur di far denaro è pronto a sputare sentenze.

Quello che non dice il plastic-gourmet è che a Napoli (e non solo lì) mangiare la pizza a 5 euro dà la possibilità a tutti di mangiare, quello che non sa questo ridicolo “signor so tutto io” e tutte le scimmie ammaestrate che lo rincalzano parlando di servizio, di camerieri e cose del genere, è che a Napoli la pizza ‘e puveriell’ se la mangiano “a portafogli” e non serve il tavolo, non serve il cameriere. A Napoli, come giustamente faceva notare il mio caro Angelomauro Calza, la pizza gourmet è ‘na strunzata pe’ ricchi scieme e pe’arreccute che se vonno sparà la posa, chi ha fame mangia la pizza.

‘O sapete che r’è a pizza? Marinara e Margherita.

Farina, acqua, uoglio, aglio, pummarola e arecheta (se vulite esagerà n’alicella sott’uoglio) oppure farina, acqua, uoglio, pummarola, muzzarella e vasenecola, il resto pure se fa, pure è buono, costa di più, piace a tutti, piace pure a me, ma è nata cosa.

Ora il problema non è di ingredienti, non è di gusti, il problema è politico.

E già e vi assicuro che quello che dico è assai pensato.

Uagliù la pizza è per il popolo, chiunque se po’ accattà una pizza e a Napoli, che è un faro di civiltà dalla notte dei tempi (lasciate stare ‘e strunzate che raccontano i milanesi e quatte strunze pruvinciali, ex pasture de crape che mo vulessero spiegà al mondo cumm’è Napele), esistono abitudini come “la pizza sospesa” (non c’è solo il caffè) che magari potrà pure essere considerato un clichè pubblicitario per turisti ma, non casualmente, è un clichè napoletano, non milanese, non torinese e pure potrebbero permetterselo, e neanche Romano.

La pizza è un cibo autenticamente rivoluzionario perché è vero che è la fame che scatena i popoli alla rivoluzione, ma è anche vero che chi muore di fame la forza per fare la rivoluzione non ce l’ha.

Ma c’è di più da dire e bisogna farlo, l’applicazione del criterio iperconsumista anche alla pizza solo ad un ricco poteva venire in mente, perché è a loro che si deve il tentativo continuo di sfruttare tutto oltre il limite della decenza, di inventarsi slogan, campagne per rendere bello ciò che è brutto, costoso ciò che è economico.

E’ esattamente a questo modello capitalistico rapace, per il quale tutto ciò che porta denaro è lecito e consentito, per il quale accaparrare oltre ogni limite, oltre ogni bisogno è regola, perché il denaro è potere e il potere è denaro, che si devono tutte le principali disgrazie che affliggono il pianeta e l’umanità.

Dalla povertà, alla fame, al riscaldamento globale tutto è riconducibile alla fame inesauribile di denaro e potere dell’approccio liberista integrale che ciascuno di noi, se fossimo maggiormente consapevoli, dovrebbe combattere con ogni mezzo al fine di cancellarlo per sempre da ogni ambito umano per abbracciare senza alcuna indecisione un approccio sostenibile.

Pensate un attimo che risonanza ha avuto questa stronzata intergalattica sparata dal Sig. Briatore sulla pizza dalla quale sono partito, con tanto di reazioni e controreazioni, con tanto di imprenditori (dei miei stivali) pronti a farci l’esegesi della incompatibilità tra qualità e costo economico, una pletora di stronzi, tronfi, la cui supponenza è solo pari alla circonferenza delle banalità planetarie che gli escono dalla bocca a contrasto con il vuoto siderale delle loro teste.

La peggiore classe dirigente mondiale concentrata solo sull’abbuffarsi, abbuffare i loro padroni o danti causa e fare ipocrite dichiarazioni roboanti di buoni propositi.

Non sono affatto ottimista, il destino della maggior parte di noi è di essere e rimanere schiavi, nella gran parte dei casi schiavi inconsapevoli e contenti, è la ragione per cui difendo la pizza, il cibo buono, il cibo per tutti, il cibo della rivoluzione e fanculo a tutti i gourmet di questo cazzo e alle loro false pizze da 60 euro.

Hasta la pizza siempre!

P.S. Con questo: That’s all folk! Ci rivediamo a settembre (se ‘a Maronna ce benedice!).

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