di Renato Pezzano

Quando ero poco più che ragazzo, imberbe ma già musicante, c’era una band che andavo a sentire spesso con gli amici appassionati di rock puro e duro, si chiamavano “DAYA”, acronimo che stava per Dirty And Young Animals…Questi qui suonavano da paura, avevano una sezione ritmica solida ma soprattutto un funambolico chitarrista dal fraseggio fulmineo e distorto, detto il Coguaro, al secolo Gianluca Guarino, un ometto dall’età indefinibile che sparava riff taglienti dei Led Zeppelin con una precisione davvero rara per le nostre parti…e poi c’era il frontman di questa band, ragazzo biondo alto dal fisico asciutto e dalla voce incredibile, che passava con estrema eleganza dal blues tradizionale a Robert Plant, arrivando a quelle vette vocali di cui solo il cantante britannico sembrava raggiungere.
Sono passati tantissimi anni, circa trenta, e come la maggior parte dei progetti musicali di questa nostra regione anche quello dei Daya finì, nonostante le premesse, e tutti i componenti si sono dati ad altri mestieri .
Ma la passione resta, il fuoco del rock può essere sopito ma mai spento e, dopo trent’anni, il leader e cantante di quella band, Massimo Brancati, si rimette in pista, i capelli ancora al loro posto, la voce che non ha perso un solo semitono di quella estensione della giovinezza e , soprattutto, l’amore per la musica. Chiama a raccolta amici musicisti e di nuovo su e giù per i palchi della regione con i Drops Of Gem.
Poi, un giorno, questo personaggio , gran professionista e vero gentiluomo, mi chiama e mi dice timidamente “sai, ho scritto anche qualche pezzo inedito, mi piacerebbe fartelo ascoltare per uno spassionato parere ”.
E mi manda LIFE.
Ed è subito amore.
Life è un pezzo che ti fa pensare ad una giornata di sole estiva, al mare, alla bellezza del vivere e dell’emozionarsi, dove le voci del ritornello che si inseguono e si intrecciano ti sparano in alto, nel cielo azzurro e la strofa ti ammalia con un ritmo moderno ma che richiama quegli anni ’80 ’90 che tanto hanno dato alla musica, con salti nel 1970 e dintorni.
Dentro c’è Prince. Quello di Sign’ O The Times, il più raffinato. Ci sono gli Stealers Wheel ( quelli di Stuck In the Middle, citata palesemente ). E c’è una cura vocale rara. Tutto suonato da solo. In casa.
Da ascoltare, ripetutamente, in attesa di un nuovo singolo o, mi sbilancio, di un album intero da gustare fino all’ultima nota
Ma comunque c’è troppa gente in giro
di Rocco Spagnoletta

“Vi
sono già zone della mia vita simili alle sale spoglie d’un palazzo
troppo vasto che, per fortuna, voi riempite con la movida.” Così
vi avrebbe detto l’imperatore Adriano dall’alto della sua
saggezza, in una riedizione 2020 delle sue memorie scritte dalla
Yourcenar.
Negli ultimi giorni starnutisco a causa delle
graminacee, ho occhi gonfi a per le allergie, fiato corto perché non
mi alleno da tantissimo tempo, ma mia madre, mia madre lo sa perché,
mia madre lo sa che è solo colpa della MOVIDA.
Sì, lo confesso,
sono un movidaiolo, uno che gode anche solo nel vedere la gente che
sta assieme, che si diverte, che si confronta, che si conforta a
vicenda, che la sera rilassa i pensieri sui navigli illuminati della
propria incoscienza. E ve lo scrivo qui: non lo fate sapere alle
vostre madri, zie, nonne e commari di cresima che siete dei
movidaioli perché loro, per colpa della televisione e dei satanici
gruppi whatsapp che tengono tra di loro, hanno alzato ostiche
barricate, cavalli di frisia del pensiero contro questa maledetta e
mortifera movida.
Che poi “movida” in italiano come si dice?
Caciara? Casino? Assembramento? No, assembramento no, per favore no,
ma chi pensava, fino all’altro giorno, che potesse diventare così
alla moda dire “assembramento”? Sono nato sul finire degli anni
70 e fino a marzo 2020 non avevo mai usato questa parola, forse
neanche mai letta o sentita, è probabile che nel mio vocabolario non
sia mai esistito quest’orribile intralcio lessicale della
pandemia.
Ma per la casalinga di Voghera MOVIDA vuol dire:
“Contagio causato da ubriaconi, rischio epidemico alto perché non
sapete stare a casa. Volgarmente detto aperitivo. Letteralmente: c’è
troppa gente in giro.”
Nel corso degli anni una madre che
voleva tenervi a casa, stretti a lei per sempre, ha cercato di non
farvi uscire aggiungendo di volta in volta, nel percorso ribelle
dell’età, motivazioni diverse. Nell’adolescenza fu l’AIDS il
nemico numero uno, ma magari avessi avuto tutte queste occasioni,
come credeva mia mamma, per stare attento a non contrarlo in
quell’età in cui l’unica cosa che schiacciavo erano i brufoli;
poi venne il tempo delle droghe, la ddroga, queste caramelle che Lo
Sconosciuto mi avrebbe regalato davanti scuola, questo nuovo nemico
finì quando confessai a mia madre che in realtà la ddroga si compra
e che se non pagavi non ti davano manco un Alka-Seltzer. Poi
arrivarono le risse nei locali e “i delinquenti” nuove figure
mitologiche della notte metà uomo e metà testa di cazzo; infine gli
albanesi e i marocchini che secondo mamma ti accoltellavano alla
stazione di notte, così, senza motivo, forse solo perché eri suo
figlio, per farle un dispetto, “ma tu non devi essere razzista!”
Ma oggi, mamme di tutto il mondo unitevi, finalmente c’è la
MOVIDA, semplice causa di ogni male, gratuita, naturale e trasversale
che, autoalimentandosi, ci costringe a stare a casa; “e non lo
capisci” ripete la madre preoccupata da giorni “che fuori ci sta
la movida?”, eh sì, la movida questa metonimia impura che
terrorizza i nostri giorni, scusa sanitaria di un malessere borghese.
Eppure, mi dice un mio amico semispagnolo che da loro la movida
fa riferimento, alla fine del regime franchista sul finire degli anni
‘70, a un periodo di rinascita sociale e culturale della nazione,
un sogno di libertà e un tuffo di vivacità che anche noi inseguiamo
da molti mesi ormai.
Non è quindi una rivincita della vita sul
terrore?
Ma ormai ne fate solo una questione di parcheggio.
Plutocrati e venditori di saponette.
di Giampiero D’Ecclesiis

plutòcrate s. m. [dall’ingl. plutocrate, der. del gr. πλυτοκρατία «plutocrazia»]. – Esponente della plutocrazia, persona che, per la sua elevata posizione economica, esercita un’influenza determinante sulla vita politica e sociale.
Il crollo del sistema dei partiti ha avuto molte conseguenze, tra le più deleterie, l’ascesa dei plutocrati.
L’azione del plutocrate, dopo la crisi dei primi anni novanta, si è evoluta passando dal tentativo spesso riuscito di esercitare una influenza condizionante sulla politica, all’esercizio della politica stessa ed è filtrata permeando tutta la società italiana.
Lo smantellamento dei partiti tradizionali ha modificato le logiche di accesso alla carriera politica , spostando l’equilibrio nella mediazione tra gli appetiti di potere delle diverse classi sociali e la competenza, a scapito di quest’ultima.
Quello che è accaduto è che l’esempio di Berlusconi –la nascita e la costruzione di un nuovo partito politico sulla base della capacità economica di un uomo in luogo della comune aspirazione di più uomini a costruire un soggetto politico– ha fatto scuola e pian piano la demolizione del sistema dei partiti ha portato a un sistema di accesso alla politica per censo.
Le conseguenze di questa modalità di accesso sono state devastanti, in Italia sotto la martellante propaganda del partito-azienda, si è andata consolidando l’epopea dell’imprenditore, l’eroe senza paura (va bene anche se con macchia) che combatte contro il sistema che per definizione è asfissiante, lento, incapace, dell‘uomo nuovo liberatore del cittadino oppresso dai lacci e lacciuoli.
Questa campagna martellante ha investito il popolo italiano dal 1993 a televisioni riunite, conseguendo uno straordinario successo innestandosi sull’individualismo che è diventato nei secoli un carattere distintivo italiano.
“L’uomo nuovo” ha approcciato alla politica come fosse un ramo collaterale della sua azienda (piccola o grande che sia), gestitoa come cosa propria, ha candidato e imposto amichette e amanti a posti pubblici, ha fatto assessori, ministri, sottosegretari in funzione di un rigorosissimo do ut des, in cui ogni scambio è lecito dalla fellatio sotto la scrivania, allo scambio di azioni di società, fino alla vera e propria dazione diretta di denaro.
La competenza non è richiesta, è bastevole quella che si suppone abbia il capo, servono solo servi fedeli, meglio se incapaci di comprendere, legati da un rapporto di sudditanza; la competenza del capo non ha bisogno di essere provata in quanto diretta emanazione del denaro, che scaturisce dal successo di impresa conferendo automaticamente i titoli per ottenere spazio politico.
Questo, naturalmente, è quello che è accaduto nella parte economicamente avanzata della nazione, a nord dell’asse Roma-Firenze esiste una classe imprenditoriale agguerrita, realmente produttiva, che nel mondo complesso e difficile dell’impresa è nata ed ha nuotato da sempre.
Al sud la musica, fatte salve le eccezioni, è molto diversa, più che i plutocrati sono scesi in campo i venditori di saponette.
Gli imprenditori sono pochi, quelli che sono stati in grado di avanzare nel mercato senza l’appoggio, talvolta lo sfruttamento delle risorse pubbliche, pochissimi, ciò non di meno il fascino esercitato dalla narrazione dell’uomo nuovo è forte e quindi ecco che piccoli notabili, affaristi, speculatori, si sono lanciati alla conquista della politica fregandosene dei loro monumentali conflitti di interessi, tronfi nella loro capacità di intrapresa, certificata da un successo economico che, viceversa, non di rado, è stato il frutto di un passato nebbioso di compromessi, di leccaculagine dietro un politico di successo, di piccoli imbrogli e condotte imprenditoriali prive di ogni scrupolo.
Sia chiaro non è questione di destra o sinistra, al di là della ridicola narrazione che per contrapposti simili moventi viene raccontata dalle due parti in causa, gli spettri del comunismo e del fascismo sono esattamente quello che ho detto: spettri.
Naturalmente il secondo è uno spettro di gran lunga più pericoloso perché evocato nel medesimo ventre che ha partorito il cancro politico del ‘900 e perché non richiede alcuno spirito critico solo cieca obbedienza e capacità di utilizzare la forza bruta.
Ma lasciati da parte gli spettri, quel che accade è che al sud la politica è diventata il palcoscenico dei piazzisti, di uomini e donne spesso senza né arte né parte ai quali, secondo un criterio rigidamente maschilista, sono richieste doti differenziate: per gli uomini la mancanza di scrupoli e l’arroganza, per le donne l’avvenenza e la mancanza di morale.
I venditori e le venditrici di saponette sono tutti uguali, compaiono su giornali e network ciascuno mostrando la propria mercanzia, l’attitudine alla vuota assertività i primi e il sorriso disponibile da geisha le seconde.
Il loro linguaggio è uno slang da giovane rampante, gli oppositori sono degli invidiosi, i critici gente che nella vita non ha mai combinato nulla –affermazione il più delle volte fatta da giovanotti di 40 anni senza un lavoro stabile– il sistema da cambiare spezzando (naturalmente) lacci e lacciuoli, la burocrazia un veleno paralizzante.
Loro indistintamente sono donne e uomini del fare, sia quando hanno ereditato l’esercizio dalla onorata attività decennale costruita dal babbo, sia quando sopravvivono intrallazzando piccoli affarucci tra amici e compari, sia quando abilmente sanno utilizzare il loro fascino personale.
Nel vuoto pneumatico ideologico di questa nostra Italia può anche succedere che gli elettori al posto di farsi una bella risata all’annuncio della candidatura, per disperazione votino e allora la festa comincia.
Inizia il governo del nuovo, poco importa se si procede ad assunzioni tra gli amici degli amici, poco importa se si affidano incarichi all’amichetta di qualche serata, poco importa se si favoriscono le attività di amici o, peggio ancora, si spacciano per bene comune proposte imprenditoriali fatte per proprio conto, è il prezzo della disperazione che si paga.
E così un’ Italia oramai sempre più mal messa, è preda degli appetiti voraci di grandi squali e piccoli divoratori di carogne, tutti ugualmente pro-attivi in nome del cambiamento e della gestione “smart” della cosa pubblica.
Naturalmente le inefficienze restano sempre quelle ereditate dalla passata amministrazione e gli insuccessi tutti dovuti al sistema che rema contro.
LE STORIE DEL MARESCIALLO NUNZIOGALLO
Il video racconto di TOTEM Magazine, Giampiero D’Ecclesiis & Fabio Pappacena vi propongono “LA MANO DEL DIAVOLO” della serie “Le storie del Maresciallo Nunziogallo”, un intreccio misterioso si svolge tra le strade del centro storico di Potenza, tra Via Pretoria e la Chiesa di San Michele si muovono ombre inquietanti, si sentono rumori, voci. Presenze oscure? Intrighi di provincia?
Ci penserà il Maresciallo Nunziogallo a svelare gli intrighi.
Chi sono i personaggi che si agitano nella storia? Demoni? Fantasmi? Sogni? Che succede nelle case di campagna dei potenti? Notai, avvocati, politici.
Un giro di ragazze squillo?
Un video racconto a puntate da seguire con calma e vedere quando vi va.