I ponti ci attraversano

Le strinse le mani nelle sue. Erano fredde come le pietre dei fondali. La sua pelle levigata sembrava risplendere. Una tenue iridescenza in quella notte di fine estate. Il suo viso aveva lineamenti decisi. Esotici. Occhi grandi, fondi e scuri. Una criniera di capelli ricci, corvini, le ricadeva sulle spalle. Aveva una bellezza distorta che evocava pensieri contrastanti. Il ragazzo aveva l’aria appena stropicciata dei trent’anni. Un filo di barba incolta. Un taglio militare mostrava una fronte alta. Decisa. Indossava una maglietta dei Nirvana. Uno smile al centro del petto sorrideva languidamente.

<<Vieni con me.>>

La voce del ragazzo vibrava di una sconfinata urgenza.

<<Te l’ho già detto, non posso>>, rispose lei, rassegnata.

Accovacciati nelle volute del ponte Musmeci di Potenza, erano estranei al chiasso attutito delle macchine che sfrecciavano sopra le loro teste. Indifferenti a quelle vite in movimento, su quattro ruote. Tutte dirette verso le loro scatole di muratura. Con i loro segreti, le loro storie, le gioie domestiche e le proprie miserie. Quando erano così vicini, il ventre del ponte diventava una tana calda e accogliente. I faretti gettavano intorno una luce delicata, fragile, che sembrava bussare sommessamente alle porte dell’oscurità.

<<Non capisco. È una settimana che ci vediamo in questo posto ogni notte. È bellissimo stare insieme, ma vorrei viverti fuori di qui. Senza nasconderci.>>

Lei si scostò. Le sue mani uscirono dalla conchiglia di quelle di lui. Il ragazzo tradì una smorfia di dolente delusione.

<<Perché? Non capisco.>>

<<È difficile da spiegare. Non capiresti>>

 <<Mettimi alla prova.>>

Lei voleva credergli. Ne aveva bisogno. Adesso sembrava avere un’età indefinita. Come se portasse il peso di troppe solitudini.

<<Francesco, vorrei dirti tutto, ma è complicato.>>

<<Di cosa hai paura?>>

<<Della tua paura>>, la frase suonò sibillina. Una falena nelle tenebre.

Una rabbia bruciante deflagrò nel petto del ragazzo e salì come la lava di un vulcano in eruzione. La testa era un tempio in fiamme. Le parole erano sprofondate nella bocca dello stomaco e lì si contorcevano senza riuscire a dar vita a una frase che esprimesse quello che provava. Voltò le spalle alla ragazza e mosse alcuni passi nella direzione opposta. Lei sgranò gli occhi. Aveva temuto che prima o poi sarebbe successo.

<<Non andare. Ti prego.>>

Lui si fermò. Lei gli andò incontro. Gli tese la mano.

<<Ti mostro una cosa.>>

Si portarono nuovamente nel cuore del ponte. Il respiro del ragazzo restò rintanato nei polmoni. C’era un’aria di attesa. Come la stasi vibrante che precede un temporale. Accadde all’improvviso. La pelle della ragazza assunse una sfumatura grigia. Una roccia porosa, solcata da scalfitture irregolari. Le pupille divennero verticali, come quelle dei gatti. Il naso, assorbito dal viso, si ridusse a due fessure. Tra i capelli, spuntarono corna da ariete, nere, contorte e legnose. Denti lunghi e aguzzi fuoriuscivano da labbra camuse.

<<Sono un troll dei ponti.>>

La voce era rimasta la stessa. Morbida e sensuale.

Il ragazzo tremava. Si sentiva distante. Sopra di lui a pochi metri la quotidianità continuava a muovere i suoi sicuri passi di danza. Lì, sotto il ponte Musmeci, un luogo familiare, parte integrante dell’orizzonte che, fin da bambino, aveva accolto nel suo sguardo con fiducia, tutto era andato in frantumi. Non riuscì nemmeno a gridare. Corse via, senza dire una parola.

Sassolini, lacrime di pietra, rotolarono dalle guance finendo ai piedi del troll. Rimase lì, nell’abbraccio della sua solitudine eterna.

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